Sto, non senza qualche difficoltà, ultimando il mio libro.
Ho ripensato la copertina, cercavo qualcosa che desse più l'idea della storia che c'è dentro, ma che fosse al tempo stesso molto iconica, meno descrittiva possibile. Che raccontasse più uno stato d'animo che altro. Ecco le solite tre fasi matita cyan, matita hb, colori.
Domani: qualche tavola che mi sta particolarmente a cuore.
mercoledì, febbraio 20, 2008
martedì, febbraio 12, 2008
Angese
L'ultima volta che l'ho sentito è stato a fine ottobre. Mi telefonava per imbarcare anche me in una sua nuova imminente impresa. "Ho visto tutto su internet" mi disse " stai lavorando un sacco! allora qualcuno di valido è uscito da quella cazzo di scuolaccia!".
La cazzo di scuolaccia era la "Scuola di Giornalismo disegnato", che visse una sola stagione e che licenziò un manipolo di disegnatori quasi tutti ora dispersi in altre attività.
Io di sicuro non faccio né satira né "giornalismo disegnato" (si era inventato un gran termine, vero?), ma quello che Sergio mi ha insegnato in quell'occasione mi è sempre tornato utile.
Ci esortava a liberarci dall'ossessione della battuta, della vignetta, della testina con un balloon e una frase sarcastica. Diceva che bisognava raccontare delle storie, che tutto partiva da lì, anche nella satira.
Era il più bravo, ma non perché disegnava meglio degli altri, non ne aveva bisogno, perché era il più avanti. La sua storia è sotto gli occhi di tutti, dal Male a Tango a Cuore a mille altre collaborazioni (così tante che nella quarta di copertina dei suoi libri scriveva solo con chi non aveva mai collaborato), così come è sotto gli occhi di tutti la difficoltà con la quale oggi riusciva a trovare uno spazio per continuare a lavorare, cacciato via via da tutte le grandi testate per la sua incapacità a piegarsi a comando.
Ma era anche un grande uomo, imponente nella statura e nella personalità e ora che non c'è più la prima cosa che mi viene in mente è una mattina d'inverno del 1993 in cui arrivò in ritardo alla "scuola di giornalismo disegnato", entrando con quel suo passo da John Wayne, con le scarpe sporche e i vestiti macchiati. Non ci disse nulla nonostante i nostri sguardi interrogativi. Solo più tardi venimmo a sapere che venendo a Perugia da S. Cristina, per quella strada tutta curve, si era imbattuto in una macchina rovesciata in un fosso, si era fermato, aveva tirato fuori dalle lamiere la ragazza che era alla guida e l'aveva portata all'ospedale. Poi era venuto a fare lezione. Ecco, Sergio era soprattutto questo e anche se ci sentivamo poco mi mancherà.
Sul blog di Angese un bel ricordo di Jacopo Fo.
La cazzo di scuolaccia era la "Scuola di Giornalismo disegnato", che visse una sola stagione e che licenziò un manipolo di disegnatori quasi tutti ora dispersi in altre attività.
Io di sicuro non faccio né satira né "giornalismo disegnato" (si era inventato un gran termine, vero?), ma quello che Sergio mi ha insegnato in quell'occasione mi è sempre tornato utile.
Ci esortava a liberarci dall'ossessione della battuta, della vignetta, della testina con un balloon e una frase sarcastica. Diceva che bisognava raccontare delle storie, che tutto partiva da lì, anche nella satira.
Era il più bravo, ma non perché disegnava meglio degli altri, non ne aveva bisogno, perché era il più avanti. La sua storia è sotto gli occhi di tutti, dal Male a Tango a Cuore a mille altre collaborazioni (così tante che nella quarta di copertina dei suoi libri scriveva solo con chi non aveva mai collaborato), così come è sotto gli occhi di tutti la difficoltà con la quale oggi riusciva a trovare uno spazio per continuare a lavorare, cacciato via via da tutte le grandi testate per la sua incapacità a piegarsi a comando.
Ma era anche un grande uomo, imponente nella statura e nella personalità e ora che non c'è più la prima cosa che mi viene in mente è una mattina d'inverno del 1993 in cui arrivò in ritardo alla "scuola di giornalismo disegnato", entrando con quel suo passo da John Wayne, con le scarpe sporche e i vestiti macchiati. Non ci disse nulla nonostante i nostri sguardi interrogativi. Solo più tardi venimmo a sapere che venendo a Perugia da S. Cristina, per quella strada tutta curve, si era imbattuto in una macchina rovesciata in un fosso, si era fermato, aveva tirato fuori dalle lamiere la ragazza che era alla guida e l'aveva portata all'ospedale. Poi era venuto a fare lezione. Ecco, Sergio era soprattutto questo e anche se ci sentivamo poco mi mancherà.
Sul blog di Angese un bel ricordo di Jacopo Fo.
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